Medea

MEDEA: la “donna-fiera” Chi è Medea? Questo è stato il primo interrogativo che mi sono posto nell’affrontare questo controverso personaggio. Chi è questa donna che la mitologia più antica e meno conosciuta ci descrive come accorta guaritrice, che sa consigliare e provvedere (come l’etimologia stessa del nome ci suggerisce) e che nei secoli però diventa scura e si macchia di delitti sempre più terribili? Sarà soprattutto a partire da Euripide che, inserendo per motivi politici e drammaturgici l’uccisione dei figli, Medea diventerà l’empia matricida: dopo di lui tutti gli autori, pur attenendosi più o meno fedelmente a questa versione, ci forniranno varie interpretazioni degli avvenimenti della tragedia. Quale Medea rappresentare quindi? Quella di Euripide, che nel duplice ruolo di moglie e madre, colpevole e vittima allo stesso tempo, in uno slancio di disperato orgoglio e amore materno uccide i figli per non esporli alla persecuzione del popolo corinzio? Oppure quella dal carattere demoniaco di Seneca che, implacabilmente rivolta alla vendetta, vuole colpire Giasone con tutta la sua tenebrosa potenza? Oppure quella di Alvaro che, pur di sottrarre i figli al linciaggio della folla, li uccide praticando su di loro una sorta di eutanasia? O ancora, la donna saggia, coraggiosa e priva di qualsiasi tratto malefico, la creatura libera e innocente della Wolf, secondo la quale Medea non ha ucciso il fratello Apsirto (morto per mano del padre Eete), non ha dato doni mortali a Creusa e tantomeno ha ucciso i figli (lapidati dal popolo corinzio)? La mia Medea non ritorna a noi attraverso una ennesima versione o interpretazione personale delle vicende, bensì con uno spettacolo dove non si vuole difendere una tesi ma si vuole, invece, togliere certezze, creare il dubbio e lasciare al pubblico una personale interpretazione dei fatti. La tragedia di Medea ritorna attraverso una riscrittura dove l’interesse per l’intreccio è secondario e dove gli episodi principali non seguono una linearità organica delle vicende ma sono affidati ad una composita e disarmonica successione degli avvenimenti e alla discordante personalità di Medea. Rimane un personaggio ricco di sfaccettature, moderno, coraggioso, trasgressivo e che, combattuto tra gli istinti passionali e la fredda ragione, potrebbe anche aver commesso un atto criminoso. Il testo è stato composto con un’operazione drammaturgica di collage di brani estrapolati dalle opere di vari autori (Euripide, Seneca, Alvaro, Wolf) e scelti, tra i più significativi della tragedia, in base alle loro potenzialità comunicative ed emotive ma rivisitati mediante un processo di sintesi e di elaborazione personale. La mia è una Medea diversa dall’iconografia classica che, nel gioco teatrale, ritorna all’oggi per rappresentare i suoi ricordi tra passato e presente. E’ una “donna-fiera” poiché, per quanto sensibile al dolore, per quanto sofferente e lacerata nella psiche, è determinazione e dignità le avversità. Medea è una “donna-fiera” che non subisce passivamente la prepotenza e la violenza dell’arbitrio e dell’ingiustizia: è combattiva e indomabile come una leonessa e, sebbene ingabbiata in un ipotetico recinto-prigione in compagnia dei suoi laceranti ricordi, con le sue paure, le sue terrificanti visioni, reagisce con rabbia ed esprime il suo dolore. Questa “donna-fiera”, visitata dai suoi fantasmi nella solitudine in cui è rinchiusa monologa con roco ruggito, con urlo graffiante, con voce dilagante e versi brucianti tesi ad esplorare gli impulsi delle passioni che provocano urti violenti nell’animo della protagonista la quale, di conseguenza, non si esprime in modo naturale ed uniforme, ma per guizzi, con notevoli sbalzi di toni e continua rottura di ritmo, disarticolando gli eventi in frammenti come in una sorta di delirio tra ragione e follia, pensiero e realtà. Rimangono i brucianti ricordi, gli incubi, il vissuto emotivo come impulso non consumato di fatti avvenuti o presunti. Ed è in questa situazione di incertezza, di equivoco, di dubbio, che rimangono gli spettatori-giudici ai quali verrà lasciato il compito di valutare gli avvenimenti, di condannare o assolvere Medea. La scena è caratterizzata dalla nudità di uno spazio essenziale, bianco: è il bianco dell’Est, quello del ritorno, è il bianco dell’alba in cui appare la volta celeste ancora priva di colori; è il bianco dell’assenza e della somma dei colori; è il bianco del vuoto, dove oggetti, suoni, parole, personaggi, rimangono sospesi tra presenza e assenza. Valeria Pilia ha per compagna, confidente, antagonista, contrappeso, la musica di un trombettista che con lei abita lo spazio scenico. Sono note pensate per dialogare, sottolineare, cucire, evocare, impersonare le figure remote del mito o spezzare l’incantesimo della parola che ricerca il passato. Affidata alla sensibilità di Paolo Fresu, questa partitura di suoni e ritmi usa gli accenti del nostro tempo, utilizzando anche le risorse delle macchine elettroniche. Per Medea, insomma, è un invito a ritrovare nei segni incorporei della musica i fantasmi del suo dramma dimenticato.

Medea

Regia Gianfranco Angei

Musiche dal vivo: Eugenio Colombo, Paolo Fresu
Scenografia: Gianfranco Angei
Luci e suono: Diego Croatto e Loran Chapotot
Trucco e costumi: Valeria Pilia
Realizzazione scene: Stefano Ledda
Assistente di scena: Roberta Locci
Assistente tecnica: Manuela Sanna
Sartoria: Emma Ibba