Workshop Sainkho Namtchylak

Sainkho Namtchylak

È nata in un villaggio della repubblica ex sovietica di Tuva, nella Siberia meridionale, vicino al confine con la Mongolia.
Entrambi i genitori erano insegnanti. Ha studiato musica al conservatorio locale e ha completato gli studi a Mosca, diplomandosi in canto all’Istituto Gnesinskij.
Ha studiato inoltre le tradizioni siberiane lamaiste e sciamaniche, così come gli stili di Tuva e della Mongolia di canto Xöömej, canto bifonico.
Ha esordito come cantante folk con il Tuvan State Folk Ensemble, poi ha cominciato a farsi conoscere all’estero con canzoni proprie raccolte sotto il titolo “Out of Tuva”.

Nel 1988 Sainkho ha inizato a lavorare con altri musicisti in Unione Sovietica, cercando di fondere le tradizioni etniche di Tuva con uno stile moderno e sperimentale. Ha fatto parte del complesso jazz di San Pietroburgo “Tri-O” insieme con Sergej Letov (sassofono), Arkadij Kiričenko (tuba) e Alexander Alexandrov (fagotto), suscitando l’attenzione della stampa occidentale per l’incredibile virtuosismo vocale e l’ aspetto esotico.

Il canto bifonico gutturale mongolo era già noto in Occidente, ma da quel momento è stato liberato dalla sua nicchia nell’oasi della world-music esoterica. 

”È il momento ed è la musica – le categorie non sono necessarie”. Questa è una delle ferme convinzioni di Sainkho. 
Sente le potenti radici nelle tradizioni Tuva ed usa l’improvvisazione per esprimerle e renderle più intense. 

Sainkho al momento trascorre il proprio tempo tra Vienna, Mosca, Amsterdam e Milano, quando non è impegnata in tournée in altre parti del mondo, sia da sola che con il suo nuovo complesso.

Sembra che nel 1997 sia stata aggredita da un gruppo neonazista russo che la lasciò in coma per due settimane (anche se le fonti discordano e altre affermano che sia stata operata per un tumore cerebrale maligno). In ogni caso il 1997 ha segnato un cambiamento nella sua carriera: da allora vive fra Vienna e Dublino e si dedica alla sua carriera concertistica.

Nel 1998 pubblica il disco “Naked Spirit” che vince in Germania il “Deutscher Schallplattenpreis”.

Nel 2006 pubblica il suo primo libro con cd audio allegato “Karmaland“.

Tutta intessuta di luce, di spazi, di tempo, la voce della siberiana Sainkho Namtchylak, ha caratteristiche timbriche che la rendono unica. Limpida come acqua di sorgente, spazia dai suoni acuti a quelli piu’ gravi con un’estensione prodigiosa, acquista singolare intensita’ per improvvisi cambiamenti di vibrazioni, alterna trasparenze a toni densi e scuri, e con un effetto sbalorditivo, si effonde con una doppia emissione di toni uniti fra loro da un legame armonico. La performance di quest’artista, che si accompagna a strumenti tradizionali della sua terra (tabla, duduk, violino piccolo, scacciapensieri), a contrabbasso, chitarra fino alle piu’ sofisticate tecnologie (synth, drum machine) e’ un intreccio di tradizione e modernita’, un viaggio che attingendo alle radici musicali popolari siberiane e mongoliche attraversa sonorita’ di ieri e di oggi. Un repertorio raccolto in “Naked Spirit”, che e’ stato pubblicato in Italia da Amiata Records.

Ci si chiede quale organizzazione vocale sia alla base del mondo sonoro di Sainkho, a quali profondita’ dell’inconscio attinga per tradurre in canto i mormorii del vento nelle foreste di betulle e di abeti, le estensioni delle tundre, il gelo dei venti, le voci di animali, evocate con buffa grazia, e quale rapporto abbia la sua voce con la luce, lo spazio, lo spirito, la trascendenza.

Con quel capo rasato, i sari di seta multicolori, le sciarpe sontuose o le tute di canapa grezza, la piccola signora dai tratti orientali appare irraggiungibile; quasi immobile nella grazia composta dei suoi gesti, non sembra concedere nulla all’estroversione. Vocazione all’astrazione? Solo in scena, dove la concentrazione la trasforma in sacerdotessa del suono. Ma fuori dei riflettori, la metamorfosi di Sainkho sorprende. Indossa felpe sportive, una parrucca platino, stivaletti; lascia balenare lampi di arguzia nell’espressione impenetrabile e non disdegna un calice di vino che scioglie la tensione e corona in allegria i concerti applauditi soprattutto dai giovani. “A loro indirizzo suoni cosi’ remoti – precisa la cantante – per fare capire che non ci sono incompatibilita’ nella musica, che esistono anche altre sonorita’ oltre a quelle assordanti che li investono di solito, per ricordare che la musica puo’ portare armonia e unita’ e per provare che il passato si puo’ innestare nel futuro”.

La sua voce sobbalza di continuo, gioca con le improvvisazioni, passa da armonie celestiali ad asprezze stridule, esce dal naso, dalla gola, dalle viscere. Eppure sostiene il suono con equilibri arditissimi. Ma come si arriva a queste acrobazie tonali? “Ci vuole studio e molta forza. Ma e’ solo tecnica vocale. Si impara e si puo’ insegnare”. I suoi concerti si ascoltano in Russia? “Purtroppo no. E’ una questione di costi. Anni fa e’ stato possibile, ho portato anche gruppi austriaci, tedeschi e inglesi. Ma la situazione era migliore, io stessa potevo affrontare le mie spese; oggi e’ diventata difficilissima, costa meno andare a Pechino e a Tokio”.